Racconti di Natale

La Storia Del Presepe

Papà, quest'anno il no­stro presepe sarà bellissimo! La capanna è grande come una chiesa e la pecorella arrivata per prima aspetta di sentir suo­nare lo zampognaro. -   Io vorrei che assieme al bue e all'asinello ci fossero an­che i leoni, le tigri e gli aquilot­ti. Noi non li abbiamo, ma ci potrebbero anche stare, si fa­rebbero buona compagnia: nel presepe non c’è violenza e vici­no al pettirosso si può mettere il gatto, accanto all'agnellino il lupo: il mondo del presepe è un mondo di pace.
- Papà, ci manca anche «l'angelo della gloria»: l'anno scorso si è rotto... e senz'ange­lo chi lo dice ai pastori che è nato Gesù? - L'angelo lo porterà il nonno assieme al cielo stellato, che metteremo dietro alla ca­panna; porterà anche la come­ta, che fa strada ai re Magi che vengono dall'Oriente. - Io vorrei fare un laghet­to piccolo piccolo, e metterci dentro i pesciolini rossi che ho in camera.

I pesci rossi non stanno bene nel presepe, perché hanno bisogno di cure e poi si muo­vono, essendo vivi, mentre il presepe e fisso come una foto­grafia: vuole richiamare quell’attimo in cui, secondo la tra­dizione, il tempo si è fermato per lo stupore. E fu un grande silenzio su tutta la terra, perché a Betlemme era nato Gesù: un Dio bambino - Papà, questo è scritto nel Vangelo? -       No, questo lo dice un'antica tradizione. Il Vange­lo di Luca dice solo che Maria - la mamma di Gesù e Giuseppe suo sposo erano a 
Betlemme quando «giunse per lei il tempo di partorire e diede alla luce il suo figlio primoge­nito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, per­ché per loro non c'era posto nell'albergo. In quella stessa regione si trovavano dei pasto­ri: vegliavano all'aperto e di notte facevano la guardia al lo­ro gregge». Un angelo si pre­sentò loro avvolto di luce e an­nunciò che era nato un bambi­no straordinario, che chiamò Messia e Signore. 

 Altri angeli, volando in cielo, cantavano: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» -       L'asinello e il bue ci so­no nel Vangelo? - Sono nominati, ma non nel racconto degli avvenimenti di Betlemme: un’antica profezia di Isaia aveva parlato di questi due animali domestici, così laboriosi e pacifici. La tradizione dei primi cristiani li vuole vicino alla grotta assieme alle pecorelle e ai pastori. – Papà, è arrivato il nonno, ha portato “l’angelo della gloria”. Ma la mamma ci sta chiamando a tavola: il pranzo è pronto! Nonno, dopo pranzo ci racconti la storia del presepe? Ci parli dei re Magi?… - Va bene, va bene, ma solo più tardi. Tanti e tanti anni fa i cri­stiani, per sentire più intensa­mente la festa del Natale e vi­verla con maggiore religiosità, presero a sceneggiare quelle pa­gine di Vangelo dove si raccon­tano i fatti riguardanti la nasci­ta di Gesù. Dalla semplice lettura del Vangelo si passò così alla sacra rappresentazione, con perso­naggi veri e talvolta anche
ani­mali veri; i costumi indossati erano simili a quelli illustrati nei mosaici delle chiese e nei bassorilievi dei sarcofagi; il te­sto sacro veniva recitato e can­tato come a teatro, anche se con uno spirito diverso. Il ri­sultato in qualche caso fu così eccezionale, che molta gente proveniente da altri paesi o rio­ni della stessa città vollero ve­derlo. Ci furono molte repli­che e se ne parlò a lungo. Qualcuno pensò di perpe­tuare il Natale per tutto l'anno e scolpì in legno o in marmo i personaggi di Betlemme: a Ro­ma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, ancor oggi si può ammirare un prezioso esempio di presepe in marmo del Milleduecento. Le statue, ad altezza naturale, sono di Arnolfo di Cambio: vi troviamo la Ma­donna col Bambino sulle gi­nocchia, san Giuseppe, il bue e l'asinello; davanti alla Madon­na c'è uno dei re
Magi prostra­to in adorazione, mentre gli al­tri due, in piedi, offrono i loro doni. Ma il presepe così come lo conosciamo noi, con la grotta al centro e tutti gli uomini che vanno verso il Bambino,
fu in­ventato da Francesco di Assisi, il santo ottimista amante della natura, che predicava alle ron­dini e salutava cortesemente le pecore e gli agnelli. Francesco ci ha lasciato nel presepe un mondo piccolo e ideale, che l'uomo può costruire con le sue mani ma deve inventare ogni anno, senza venir meno alle piccole leggi del ricordo e del simbolo: altrimenti il prese­pe non porta più un messaggio e diventa solo un gioco. Leggiamo nelle cronache del tempo che Francesco – qualche tempo prima di intonare il suo Cantico delle creature in cui, prestando voce agli elementi, loda Dio per fratello Sole e fratello Vento, per sorella Acqua e sorella luna, per fratello Fuoco e sorella morte

inventò a Greccio, vicino a Rieti, il primo presepe. Francesco era famoso in tutta la cristianità per la vita che conduceva: da quando si era spogliato dei suoi abiti davanti al vescovo per ridarli al genitore, molti giovani avevano lasciato beni e professione per seguirlo nel suo ideale di povertà. Egli parlava del Vangelo con tale entusiasmo che la gente e persino gli uccelli lo ascoltavano attenti. Nell’anno 1210 era stato a Roma da papa Onorio III e gli aveva chiesto l’approvazione della sua Regola di vita con i fratelli, in povertà assoluta, predicando il Vangelo nella semplicità, Il papa aveva elogiato il suo nuovo modo di essere cristiano e gli aveva permesso di costituire una famiglia religiosa. Mentre tutti pensavano alla guerra e a vendicare torti veri o presunti egli, “armato” del perdono e della parola di Gesù, nel 1219 partì crociato in oriente: fu ricevuto dal sultano al-Malik- al-Kamil e potè visitare i pace i luoghi santi della vita del Signore. Il ricordo più intenso di questo viaggio fu la visita alla grotta di Betlemme ove il Signore volle nascere nella  povertà. 

Un giorno un nobiluomo di nome Giovanni, incontrando Francesco, gli chiese cosa doveva fare per seguire le vie del Signore. Francesco gli disse di prepararsi e preparare il Natale. Allora quel tale fece costruire una stalla, vi fece portare del fieno e condurre un bove e un asino. Poi arrivò dicembre… La notte di Natale del 1223 molti pastori e conta­dini, artigiani e povera gente si avviarono verso la grotta che Giovanni da Greccio aveva preparato per Francesco. Alcuni avevano portato doni per farne omaggio al Bambino e dividerli con i più poveri. Francesco disse di volere celebrare un rito nuovo, più intenso e partecipato; per questo aveva chiesto il permesso al papa. Inviò un sacerdote, che su un altare improvvisato celebrò la Messa. Francesco, attorniato dai suoi frati, cantò il Vangelo. Francesco stava davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Dopo il canto del Vangelo, “Fratelli – dice Francesco – questa è la festa delle feste. Oggi Dio si fa piccolo infante e succhia un seno di donna”. La commozione è tale che Francesco stesso si sente egli stesso un bambino e comincia a balbettare, come fanno appunto i bambini. Allora fu  visto «dentro la mangiatoia un bellissimo bam­bino addormentato che il beato Francesco, stringendo con am­bedue le braccia, sembrava de­stare dal sonno».

Fra i testi­moni del miracolo molti erano personaggi degni di fede e que­sto contribuì a divulgare la no­tizia in tutto il Lazio, l'Umbria e la Toscana fino a Genova e Napoli: ovunque ci fosse un convento e ovunque si festeg­giasse il Natale. Da quel miracolo molti trassero benefici spirituali e corporali: alcuni si convertirono e di­ventarono più buoni, altri presero il fieno della mangiatoia di Greccio e lo usarono come medici­na contro i malanni degli uomini e delle bestie; una donna, travagliata da un parto difficile, tro­vò forza e pace... Nacque felicemente un bambino e fu festa per tutta la casa. Tutto il paese sapeva di questi prodigi e teneva memoria di quella notte santa, quando un Bam­bino era apparso a Francesco, che aveva voluto rico­struire l'ambiente del primo Natale in un bosco del­l'Appennino. La vita riprese serenamente nei conventi dove abitavano gli amici di Francesco, nei casolari dei contadini e nelle città dove Francesco andava predicando la pace fra le fazioni avverse e le famiglie ostili. Un giorno di dicembre un frate molto timorato di Dio chiese a Francesco «se anche a Natale rimaneva l'obbligo di non mangiare carne, dato che quell'anno cadeva di venerdì». Francesco, con ferma dolcezza, lo apostrofò: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambinello”. Questa è festa grande, diceva, e raccomandava che anche agli amici animali quel giorno fosse dato cibo in abbondanza e che il bue e l’asinello avessero una doppia razione di biada. Il suo insegnamento venne poi raccolto dai valli­giani e dai contadini: spesso le fanciulle delle contrade dove Francesco era passato spargevano al vento e per le strade granaglie e frumento, perché le allodole e i petti­rossi, gli scriccioli e le tortore selvatiche non avessero a soffrire per mancanza di cibo. Questa è la storia vera del presepe, e adesso andiamo a stendere il cielo con la stella cometa, a mettere la neve sugli alberi e le montagne, a imbiancare la città, a far volare l’angelo della  gloria tra le stelle lucenti.
Nonno, ma perché quest’anno l’angelo reca una scritta strana? E’ la solita scritta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”; solo che è in inglese, in russo, in arabo e in cinese. Ma tu, nonno, sai leggere il ci-nese?   No, e nemmeno il russo e l'ara­bo. Ma Gesù è amico di tutti i bambi­ni del mondo e parla di pace in ogni lingua e paese.

La notte di Natale


Era la notte di Natale.
Nella calma ovattata della foresta, la neve scendeva copiosa e rendeva ancora più silenzioso il silenzio.
Nella baita, la calda luce del camino, disegnava sul muro strane forme e nel lettino, sotto una calda coperta, Luca ascoltava la favola di Natale che il nonno gli stava raccontando:

"Vedi Luca, devi sapere che le stelle non sono nate senza un motivo. Tantissimi anni fa, in una notte come questa, un bambino più o meno della tua età, guardava fuori dalla finestra. Era una notte buia e silenziosa e il cielo era nero e scuro, non c’era neanche la luna, perché non esisteva. Quel bambino si sentiva solo, ma tanto solo, così solo che espresse un desiderio con una tale forza che si alzò un forte vento e tantissimi dei fiocchi di neve che scendevano, come in questo momento, volarono nel cielo, riempendolo di puntini bianchi e la luna comparve per la prima volta nella sua storia per proteggerli. Da quel momento tutti gli uomini guardarono le stelle quando volevano esprimere un desiderio. Tornando a quel bambino, pochi minuti dopo la comparsa delle stelle, sentì grattare alla sua porta, la aprì e vide davanti all’uscio una cesta e nella cesta, un cagnolino infreddolito che lo fissava con i suoi occhioni. Da quel momento quel bambino non si sentì mai più solo, neanche per un istante".
Il nonno fissò Luca per vedere se si era addormentato, il bambino invece era attento e lo fissava a sua volta. Distolse lo sguardo e lo rivolse alla finestra. La neve scendeva sempre più fitta. 
Luca guardò ancora il nonno:
"Anch’io nonno ho il mio desiderio. Vorrei che ogni anno della mia vita, in questa notte, tu mi racconti una fiaba!".
Il nonno sorrise intenerito e una lacrima spuntò nei suoi occhi.
Luca era in piedi davanti alla finestra del suo appartamento. Era la notte di Natale.
I suoi figli alle sue spalle, stavano aprendo i pacchi con una gran foga. Luca fissava tra i fiocchi di neve e il suo pensiero vagava nella folla dei suoi ricordi, quando il suo sguardo cadde sulla strada, dove alla luce bianca di un lampione, un vecchio mendicante stava controllando nella spazzatura: forse sarebbe riuscito a trovare la sua cena?!
Come se sentisse lo sguardo di Luca addosso, si voltò verso di lui e sorrise, Luca ricambiò il sorriso, senza rendersi conto del perché. In quell’istante si sentì tirare la stoffa dei pantaloni:
"Papà, papà guarda che bello il mio garage nuovo!" 
Luca accarezzò la testa di suo figlio e ritornò con lo sguardo alla strada ma anche se erano passati solo pochi secondi, il mendicante era scomparso... fu in quell'istante che la favola più bella che aveva mai sentito comparve nella sua mente.

Un Flauto per Natale


C'era una volta, in un paese lontano lontano, una dolce bambina di otto anni, di nome Clementina, che viveva serenamente con la sua bella famiglia. Il suo papà lavorava per tutto il giorno nel bosco vicino, la sua mamma, invece si occupava degli animali della fattoria e del fratellino più piccolo di nome Mirko. 
Clementina era una bambina molto sognatrice, infatti ogni anno quando stava per avvicinarsi il Natale, immaginava di parlare con Babbo Natale, trascorreva ore alla finestra con il naso in su per cercare di vedere se passava la slitta con le renne, ma inutilmente. Il suo sogno più grande, però , era quello di imparare a suonare il flauto, per donare, così, una dolce melodia al suo triste paese, per renderlo più allegro e per offrire un pò di gioia ai vecchietti ammalati. Purtroppo questo suo sogno sembrava non avverarsi mai, perchè la sua famiglia era molto povera e non poteva comprarle un flauto, per questo, quando era triste, si rifugiava accanto alla quercia più grande del bosco, dai forti rami, per piangere. Clementina, però, non sapeva che quella era una quercia speciale, infatti, sotto le radici vivevano milioni milioni di piccoli folletti, che raccoglievano le letterine dei bambini buoni, per portarle a Babbo Natale. Un giorno uno di questi folletti, mentre raccoglieva con gli altri le foglie secche per dormirci sopra, si allontanò per curiosità dal suo gruppetto e mentre camminava, inciampò in un ramoscello. Si fece male alla gamba e incominciò a piangere e a invocare aiuto, da lontano vide arrivare una bella bambina con due treccine nere: era Clementina; la guardò meglio e vide che anche lei stava piangendo. 
Allora il folletto si avvicinò e le chiese:" Perchè piangi, bella bambina? ". 
Clementina sentì questa vocina che proveniva dal basso, guardò vicino alle sue scarpine, vide il folletto e cacciò un urlo. . Clementina, si calmò un pò, ma era comunque stupita e balbettando rispose:" Io sono molto triste, perchè il mio sogno non si avvererà mai". 
" E qual è il tuo sogno, bambina? " domandò il folletto.
 " Il mio sogno è quello di imparare a suonare il flauto, per donare un pò di gioia alle persone del mio paese". 
" E' un sogno molto bello, e tu sei una bambina molto buona. Se non smetti di sperarci, vedrai che un giorno riuscirai a suonare una bella melodia". 
" Non è vero -rispose Clementina- anche Babbo Natale si è dimenticato di me" e corse via.
 Il folletto si era commosso e decise di fare qualcosa per lei, così raccolse tutto le foglie secche e tornò sotto le radici della grande quercia. Quando ritornò, tutti i folletti erano arrabbiati con lui, perchè aveva fatto tardi, ma si era difeso raccontando del suo incontro con Clementina e della richiesta della ragazza. Anche loro furono commossi e si misero subito al lavoro per cercare la letterina di Clementina, affinchè nessun bambino pensasse che Babbo Natale si fosse dimenticato di lui. Clementina intanto era sempre più triste perchè tra due giorni era Natale e sapeva che neppure quell'anno avrebbe ricevuto il flauto. Invece sotto la grande quercia la lettera era stata trovata e ora c'era chi lucidava la slitta, chi puliva le renne guidate da Babbo Natale, con una montagna di regali, che si alzavano verso il cielo la notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, per donare un sorriso a tutti i bambini. La mattina del venticinque Clementina si svegliò senza voglia, ma la sua mamma la chiamò, e non poteva credere ai suoi occhi: sotto l'albero c'era u magnifico flauto dorato e accanto una polvere magica che le insegnava a farlo suonare. E finalmente in quel paese ritornò l'allegria.

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